miércoles, 12 de junio de 2013

L'attacco a Taksim (12/05/2013)

Il telefono questa mattina ha squillato alle 7.30. E' successo qualcosa, mi dico. Rispondo senza nemmeno guardare chi sta chiamando.
“La polizia sta entrando a Taksim!!”. Chiudo il telefono e mi alzo di colpo. Non so nemmeno chi fosse al telefono.
Mi metto i pantaloni, la prima magliettina che trovo, prendo la macchina fotografica ed esco in strada. Fermo un taxi: a Taksim. Per strada preparo la macchinetta…cambio diverse volte la lente…24mm, 50mm…
Il taxi mi lascia vicino all'entrata posteriore del parco Gezi, quasi tutto hanno una mascherina, fazzoletti, sciarpe…maschere per gli occhi, caschi…
Mi fermo in un angolo e mi preparo: mascherina anti-gas al collo, occhiali protettivi in fronte, e mi dirigo verso la piazza attraversando tutto il parco.
Arrivato in piazza vedo la polizia messa in file davanti al centro culturale AKM. Due idranti posteggiati davanti a loro li proteggono.
Hanno fatto fuori le barricate, mi dico non c’era altro modo per entrare a Taksim.
La gente difronte la polizia si aggruppa davanti uno degli idranti e grida: “che volete? Che ci fate qui?”
Un uomo ed una donna che hanno intorno ai 40 anni, cercano di calmare gli animi:
“tranquilli compagni, la nostra protesta è stata pacifica durante vari giorni, non perdiamo la calma. Non buttiamo all'aria tutto questo che tanto ci è costato”. Io mi sono avvicinato, ed ora mi trovo in mezzo al gruppo che grida…alcuni di loro sono veramente incazzati e minacciano la polizia faccia a faccia…
”questa è la nostra terra, ed io morirò qui difendendola…e invece voi cani, pagherete con il vostro sangue quello che state facendo…”
La polizia assicura che non vuole attaccare a nessuno, che sono venuti solamente a togliere i cartelloni che stanno in piazza.
È abbastanza difficile credere a quello che dicono, dopo aver visto la violenza che hanno mostrato durante più di dieci giorni. Ed ovviamente, nessuno ci crede. Gli si chiede che facciano andare via l’idrante e quando questo finalmente si allontana, gli animi sembrano cominciare a tranquillizzarsi.
Devono esserci circa 150-200 poliziotti antisommossa, con scudi, maschere antigas e pistole. Davanti a loro, dei poliziotti in borghese, tutti loro con un berretto azzurro, che li aiuta ad identificarsi. I loro volti sono scoperti, e noto un’espressione di grande freddezza e disprezzo verso la gente che gli sta chiedendo di allontanarsi.
“Stanno arrivando da Tralabasi” grida qualcuno da dietro.
Tutti ci giriamo…io mi allontano e mi dirigo verso il centro della piazza. Molti dei manifestanti che stavano nel parco sono usciti e attendono con certa aspettativa, guardano la piazza dalle scale dell’entrata del parco Gezi.
Incontro Okan (31 anni), un amico che dal primo giorno sta al parco Gezi e che fa parte dell’organizzazione della protesta pacifica che chiede l’arresto del progetto del centro commerciale che causerebbe la scomparsa del parco.
“sei solo?” mi chiede – “vieni, non stare da solo. Resta qui con me, è abbastanza pericoloso”
Gli domando se sa cosa succederà e mi dice che non ne ha idea:
“ci hanno messo solo sette minuti ad aprire le barricate di Gumussuyu. Un altro gruppo di poliziotti sta arrivando dal boulevard di Tarlabasi con vari idranti. La polizia ci ha comunicato che non pretende entrare nel parco, e sta quindi cercando di convincere alla gente affinché non vada nella piazza a provocare la polizia”
“e cosa credi che faranno quando avranno il controllo della piazza? Credi che poi non vorranno entrare dentro il parco?” gli chiede un ragazzo quando Okan cerca di farlo tornare al parco.
Okan riesce a stento a rispondere. Nella sua faccia leggo le sue buone intenzioni ma anche sfiducia verso la polizia.
Il secondo gruppo di poliziotti comincia ad arrivare in piazza. Da sopra il parco gli si fischia e grida di andare via. Formano delle file così come il primo gruppo e comincia la grande messa in scena della loro strategia:
insieme alla polizia, c’è la stampa, cameraman e fotografi di tutti i mezzi di comunicazione con i dovuti permessi per riprendere l’evento. Mi chiama l’attenzione il fatto che non ci sia nessun gruppo di reporter tra le file della polizia piazzata davanti il centro culturale AKM, cosicché penso che succederà qualcosa proprio in questa parte della piazza.
Uno dei poliziotti, col megafono, comincia il suo comunicato:
“cari amici! Siamo qui per fare il nostro lavoro, e togliere tutte le bandiere che ci sono, a parte la bandiera turca e quella di Ataturk. Non vogliamo problemi, quindi stiate sereni, e lasciateci fare il nostro lavoro. Non siamo venuti ad attaccarvi.”
Mentre ripete le sue parole, la gente gli grida addosso sempre di più. accanto al gruppo di poliziotti, sono arrivati altri due idranti che posteggiano accanto a loro, difronte i lavori per la costruzione del centro commerciale, che stanno ancora nella loro fase iniziale.
Tutto avviene così velocemente che non siamo capaci di avvertire il gioco al quale siamo sottoposti, come semplici spettatori.
Da destra arriva un gruppo organizzato, non sono più di 15, ma sono organizzati, si nota dal momento in cui arrivano…cominciano a lanciare pietre contro la polizia. Questi rispondono con gas lacrimogeno, all'inizio solo verso questo gruppo che li ha aggrediti, ma poi all'improvviso una bomba molotov viene lanciata contro uno degli idranti, provocando una grande fiamma e le grida e gli applausi di tutti i presenti.
Questo è il momento in cui tutto scoppia: quasi ritmicamente iniziano a suonare i lancia gas, e le bombe di gas cominciano a volare sopra le nostre teste. La gente, terrorizzata, comincia a correre senza controllo. Cerco di correre senza perdere di vista la polizia, ma in pochi secondi il fumo rende impossibile vedere qualsiasi cosa…mi rifugio dietro gli stand d’informazione del centro della piazza, in ginocchia, cerco di respirare tranquillamente, ma c’è così tanto gas che gli occhi mi bruciano e devo uscire da là correndo, e mi dirigo verso le scale dell’entrata del parco.
Cci sono persone che vomitano, altre che gridano e chiedono aiuto…quelli che stanno in buone condizioni si avvicinano per aiutare chi invece ha bisogno.
Quando la nube di gas scompare, un gruppo di ragazzi si avvicina alla polizia e comincia a formare una catena umana. Altri da dietro cominciano a lanciare pietre ma la maggior parte delle persone glielo proibisce. Iniziano a gridarsi tra di loro…i nervi si fanno tesi, al limite
Risulta impossibile controllare lo stato d’animo della gente, e quando varie pietre vengono lanciate in direzione della polizia, questa risponde di nuovo, questa volta con molto più gas di prima. I primi lanci che ci sorvolano sopra, sono facili da vedere e schivare ma poi, d’improvviso, mentre guardo in alto, qualcuno grida e cade per terra, accanto a me. Il bossolo di gas che l’ha colpito continua a girare attorno al suo corpo…arrivano subito delle persone per proteggerlo, tra le quali il mio amico Okan e se lo portano via tra grida di aiuto…io corro nuovamente proteggendomi la testa, e nuovamente mi nascondo dietro gli stand. All’improvviso cade un altro bossolo sopra un furgone con delle antenne telefoniche. E subito ne cade un’altra, che entra dentro lo stand dove sono. Anche se cerco di tranquillizzarmi e respirare piano, profondamente, l’unica cosa che entra dentro i miei polmoni è il gas. Non posso restare lì, no, perché a parte che non vedo nulla, c’ho pure il panico addosso e credo che manca poco che svengo. Allora scappo di corsa, di nuovo, coprendomi la testa con la borsa della macchina fotografica, finché non arrivo ancora una volta alle scale e grido aiuto…subito mi si avvicina qualcuno con uno spray contenente un miscuglio di acqua e Talcid (un normalizzatore per il PH gastrico) e cerca di allievarmi il bruciore.
“apri gli occhi” mi gridano “apri gli occhi!”. Ma io non posso aprirli, mi bruciano. “sto bene” gli dico. So che passerà tra qualche minuto. Poco a poco salgo le scale ed entro nel parco per cercare un posto dove riposarmi.
Mi aiutano in uno dei stand della piazza, e mi offrono ancora questo miscuglio di acqua e Talcid ed ora mi ci lavo la faccia direttamente, mi danno dei fazzolettini e mi siedo accanto ad altri due ragazzi che si trovano nella mia stessa situazione. Poco a poco il bruciore e prurito passa e decido andare verso una delle parti alte del parco, da dove posso osservare senza rischiare, gli scontri tra la polizia ed appena un dieci o dodici ragazzi che lanciano delle pietre inutilmente: non arrivano nemmeno a metà strada.
La polizia continua a lanciare gas, ora pure dentro il parco dove ci sono le persone accampate.
Decido allontanarmi definitivamente dalla zona più calda, la mia razione di gas è già sufficiente. Vado nella zone delle tende da campeggio, dove sono accampati alcuni amici. C’è molta tensione. Un gruppo di persone discute animatamente, gridandosi:
“non state al loro gioco. La nostra protesta si fa qui, seduti, tranquilli. Se entrate nel loro gioco, l’unica cosa che otterrete sarà dargli una scusa per entrare nel parco. E allora si che perdiamo tutto” grida Aysem a u gruppo di ragazzi alterati che corrono per il parco animando le persone ad unirsi a loro nelle azioni contro la polizia. Avranno si o no, appena 17 anni.
La gente si avvicina, e tutti discutono, gridano. Non arrivano alle mani ma la tensione è tale che m’aspetto che comincino a darsi di botte da un momento all’altro. Qualcuno più grande, si mette nel centro:
“non lo capite? È proprio questo quello che vogliono, vogliono farci litigare tra di noi. Si può sapere che ci stiamo a fare qui? Siamo o no tutti qui per lo stesso motivo?”
E le due parti si vanno calmando. I giovani più alterati ora ringraziano Aysem, un ragazzo di 30 anni, dopo che gli ha fatto capire che non ha senso tirare le pietre alla polizia.
“questo che sta succedendo è normale” – mi dice Aysem – “non abbiamo mai vissuto dei momenti simili, di tale grandezza. Stiamo imparando a fare la rivoluzione, e anche se alla fine non riusciremo ad ottenere gli obiettivi prefissati, sono sicura che avremmo imparato molto, perché rendersi conto della forza che abbiamo quando siamo uniti è molto importante, ed è qualcosa che questa generazione non dimenticherà”
Tra il gruppo che discuteva, si trovava anche Mustafa Nogay, 37 anni. È il segretario generale dell’associazione Taksim Gezi:
“ci siamo appena riuniti tutti i gruppi che rappresentano l’occupazione del parco, pure i curdi separatisti, e tutti ci hanno confermato che nessuno di loro e del loro seguito si trova tra quelli che stanno affrontando la polizia. Tutta questa provocazione è stata una messa in scena da parte della stessa polizia.”
E allora mi fa vedere una foto dove c’è un uomo che si trova accanto ad un altro ragazzo. Mentre attacca la polizia regge in mano un walkie talkie.



No hay comentarios:

Publicar un comentario