viernes, 7 de junio de 2013

Tutto questo per un parco?


Per il momento la notte del 31 maggio è la data più importante della rivolta turca, perché è quando la polizia ha cessato di avere il controllo del parco di Gezi e della Piazza di Taksim, che si sono trasformati nei due luoghi simbolo delle mobilitazioni.
Una rivolta che si è estesa in quasi tutte le città della Turchia con l’identico denominatore comune:
“Hey yerde Taksim”
“Qualsiasi luogo è Taksim”


Questa idea dimostra che la rivolta né si limita alla salvaguardia degli alberi del parco di Gezi, né si riduce alla sola città d’Istanbul, ma che si tratta di un grido di mille e  di mille turchi, in qualsiasi angolo della Turchia, e anche in altri paesi.
Le concentrazioni non hanno smesso di crescere tanto nel numero di persone quanto nelle diversità sociali delle stesse. Non rispondono a nessuna ideologia comune, bensì ad un malessere generalizzato provocato dall'asfissia alla quale il popolo si è visto sottomesso durante molti anni e che adesso si manifesta a favore della libertà di espressione, il rispetto per le minoranze e il desiderio di pace e di una democrazia al servizio del popolo, e non schiava degli interessi economici o internazionali.                                     
                                                  
Bisogna ricordare che in Turchia convivono diversi tipi di cultura: turchi, curdi, arabi, armeni, rappresentanti dalle religioni arabe, in maggior parte sunniti, aleviti… ma anche cattolici romani, ortodossi, ebrei, e ovviamente, laici.
Sabato primo giugno il sole nasce ad Istanbul per illuminare le immagini più emozionanti e più impattanti da quando sono cominciati i movimenti di protesta.                                                                                                                       
All’incirca 40 mila persone hanno attraversato pacificamente il ponte di Fatih dall’Asia, per riunirsi nella Piazza di Taksim e celebrare la prima vittoria che, anche se simbolica, è il riflesso della forza di un popolo unito.



L’attacco eccessivo da parte delle forze dell’ordine, degenerato in forti scontri la scorsa notte, sulla base dei commenti che si condividono nei social nekwork, ha causato diversi morti, per lo meno due ad Istanbul ed uno ad Ankara. E risulta impossibile contrastare questa informazione  per via dell'inesistenza di comunicati ufficiali e del massivo e vergognoso silenzio dei mezzi di comunicazione. Ma è tuttavia  impossibile negare la realtà delle immagini che hanno lasciato gli scontri:


Questi spiacevoli eventi, invece di provocare violenza o reazioni più radicali, come siamo di norma abituati, hanno prodotto unità, riaffermando le intenzioni pacifiche del movimento…anche se sì,  è vera l’esistenza di scontri attivi, provocazioni ed attacchi alle forze dell’ordine da parte dei manifestanti, bisogna però dire che questi atti sono totalmente giustificati dall'opinione generale, che considera necessario proteggere, al meno per il momento, la libertà di manifestare e allo stesso tempo la libertà di mantenere la zona di Taksim nelle mani dei manifestanti.

Fino a questo momento i mezzi di comunicazione, nella loro gran maggioranza, sono rimasti al margine della realtà. È completamente incomprensibile sì, ma allo steso tempo riflette e mostra questo malessere e asfissia sociale della quale si è parlato prima. La realtà è che la maggior parte dei mezzi di informazione o sono controllati dal potere economico affine al governo o temono ritorsioni da parte di quest’ ultimo.                                                                                                                                                                                                         
 L’unica eccezione è la televisione Halk TV che insieme all’agenzia DHA (Dogan News Agency) ha continuato a documentare le proteste, trasmettendo in diretta tutto ciò che stava succedendo.

L' indignazione verso i mezzi d’informazione ha fatto sì che, alcuni attori, artisti, musicisti o presentatori televisivi, siano usciti in strada per appoggiare il popolo, e manifestando pubblicamente  nella piazza di Taksim, d’accordo con le proteste sociali e attaccando allo stesso tempo la vergognosa sottomissione dei mezzi di comunicazione agli interessi politici e finanziari:



Il gruppo politico CHP, il secondo rappresentante in parlamento, ai suoi tempi fondato da Kemal Ataturk, viene segnalato da parte del presidente Tayyip come il responsabile del caos e della manipolazione dell’opinione pubblica. Durante le sue prime dichiarazioni ufficiali il presidente Tayyip Erdogan, ha attaccato per l’appunto il suo più grande rivale politico, Kemal Kılıçdaroğlu, accusandolo di essere opportunista ed aprofittatore:
“Kemal Kılıçdaroğlu cancella il suo miting a Kadikoy per spostarlo a Taksim. E siccome quando arriva a Taksim per parlare nessuno l’ascolta, se ne va, allo stesso modo in cui è venuto” ( così scherzava Tayyip Erdogan)

La verità è che il partito CHP ha fatto un comunicato nel quale “difronte all’evidenza di questi avvenimenti”, considerava "opportuno cancellare l’incontro di sabato primo giugno a Kadikoy, con l’intenzione di prendere parte alla concentrazione di Taksim" e animava il suoi elettori  ad “unirsi alle proteste, ma senza la bandiera del partito e solo come cittadini”.

Il primo discorso pubblico  trasmesso in televisione di Tayyip Erdogan  del primo giugno suppone un punto d’inflessione nel trascorso degli avvenimenti successi fino al momento, con conseguenze inevitabili contro gli interessi dei mezzi di comunicazione, che fino a quel momento non si erano pronunciati e che adesso hanno l’obbligo di contestualizzare le dichiarazioni del presidente Tayyip.
Che messa in scena surreale: quasi tutti i grandi mezzi d’informazione  emettono un comunicato del presidente che spiegava degli avvenimenti che fino a quel momento non esistevano, tanto per i media come per l’opinione pubblica.
Nel fine settimana tra il primo e il 2 giugno cominciano a prendere forma e a differenziarsi le parti attive che da questo momento iniziano a svolgere ruoli più importanti nel contesto sociale, segnando gli avvenimenti dei giorni successivi:

1.        La posizione del presidente Tayyip e del suo governo verso i manifestanti è quella di ridicolizzarli, chiamandoli teppisti ignoranti, marginati e terroristi, e avanzando minacce provocative come quella di riunire un milione di suoi elettori per le strade, o ancora il giustificare l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine. Tutto questo causa il malessere generale e il timore che possano verificarsi i primi contrasti tra la stessa cittadinanza. Il suo viaggio a Rabat il 3 giugno evidenzia ancora di più la denigrazione difronte all'evidente magnitudine delle mobilitazioni.

2.        Il silenzio del mezzi di comunicazione mette in evidenza l’assenza di libertà di un paese che va manipolando l’opinione pubblica a favore degli interessi economici e politici dettati dal partito di governo AKP e sostenuto dai grandi gruppi finanziari.  Ma considerate le prime dichiarazioni del presidente, si trovano obbligati ad entrare in gioco e a prendere posizione difronte l’opinione pubblica, temendo possibili rappresaglie, questa volta però da parte dei manifestanti.

3.       Il forte appello dei manifestanti è già indiscutibile.  Se ne contano milioni, si distribuiscono in tutta la geografia della nazione, accorpano tutte le diverse indoli sociali, economiche, etniche, religiose, di età o sesso…                                                                                                                                                                                                     

Non rispondono a nessun interesse politico, ma al tempo stesso, li rappresentano tutti.  Taksim si consolida, diventa il simbolo della fraternità, solidarietà, rispetto e libertà.

Per la prima volta i gruppi più marginali scendono per le strade a manifestare senza avere paura di ritorsioni: prostitute, transessuali, omosessuali, curdi, si mescolano con famiglie, lavoratori, studenti, funzionari, artisti, pensionati, credenti, laici, formando un arcobaleno mani visto in Turchia ed inimmaginabile fino alla scorsa settimana.



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